Nel 1997 - quando ho
incontrato sulla mia strada il mitico Baronbar - avevo
circa 35 anni e il mio rapporto con la bicicletta era di tipo
“episodico”. Possedevo in realtà due biciclette da corsa, una era un
cancello in acciaio ferroso, marchiata “Dezzi”, che avevo acquistato
negli anni ‘80 con i guadagni di un’estate passata a raccogliere foglie
di tabacco in una piantagione sulla via Laurentina. La seconda, più
recente, era una Moser Leader AX in acciaio al cromo molibdeno con
saldature fillet brased
acquistata usata nei primi anni ‘90.
Decisamente non ero un ciclista: pedalavo in pantaloncini da atletica
leggera e scarpe da ginnastica. Avevo i pedali con le gabbiette e i
cinturini. L’incontro con il Baronbar ha cambiato tutto. Nel 1995 ero
venuto ad abitare sulla Pineta Sacchetti e un mio vicino di casa e buon
amico (Vladimiro Vazzana) mi informò dell’esistenza di un appuntamento
domenicale a P.zza Irnerio. Mi presentai con una maglia della
Kelme-Costablanca (la squadra di Fernando Escartin) acquistata per
l’occasione e con un pantaloncino rimediato anni prima da un
cicloamatore di Ostia che si era impietosito vedendomi pedalare in
abbigliamento “poco consono”. Quel giorno di settembre era previsto un
giro classico: l’aeroporto. Ho retto bene sull’Aurelia e a Maccarese
consapevole – grazie alle telecronache di Adriano De Zan,
dell’importanza di stare a ruota. Poi, sul lungomare di Focene,
un’accelerata micidiale ha portato via un gruppetto. Io sono rimasto ad
inseguire per tutta la Portuense insieme ad un ciclista che solo dopo
avrei scoperto essere il prode “Diesel Ferrini”.
Da
quel momento per il Baronbar è stato vero amore (il ciclismo no, quello
era già nel mio cuore, perlomeno da quando vidi Gimondi vincere la
Sanremo nel 1974). Comunque sia, è andata così: da ben 22 anni che cerco
sempre di essere presente la domenica mattina e a volte mi chiedo come
avrei impiegato le mie domeniche senza quel prezioso consiglio di
Vladimiro.
Posso dire di averne viste tante, e certo gli aneddoti non mancano, come
non mancano i personaggi iconici. In rapida successione, premettendo che
si tratta solo di ricordi personali, ho il piacere di citare:
·
il Presidente
Maurizio Spedicato, da tanti anni anima del gruppo, organizzatore
“seriale” di eventi ciclistici e…gastronomici. Ma anche noto
“scherziere”: ricordo quando, già contraddistinto da un certo qual
sovrappeso, arrivò misteriosamente tra i primi 100 al traguardo della
Granfondo del Terminillo…
·
Sandrino Loreti, per
alcuni Frà Cionfoli, interfaccia tecnologica del Team con il mondo
esterno. Sempre presente, è un vero uomo squadra. Senza di lui la
domenica non si parte. Lui lo sa e…arriva sempre all’ultimo momento;
·
Aldo De cola, il
mitico “segretario”. Ha iniziato più o meno insieme a me ed ha
interpretato la passione ciclistica con disciplina “svizzera”. Rigoroso
nella preparazione tecnica, attento ai dettagli, lucidissimo in chiave
strategica. Un vero traino per il sottoscritto nella stagione delle
granfondo (ricordo quando durante i “giri della Sardegna” cercava di
impedirmi di bene e fumare la sera prima di una tappa importante). Da
diversi anni si è ritirato in terra sarda e il Team ha perso parecchio;
·
Spartaco Pergola,
memoria storica del gruppo, si narra che abbia corso con Adorni in
un’epoca in cui l’uscita domenicale era…il giro del GRA!;
·
Luigi Partis, ovvero
“Ginetto”, pedala raramente ma rimane il vero “uomo-ombra” del
Presidente. Famigerato per l’interminabile eloquio durante i rientri in
pullman dopo le trasferte del team;
·
Vernaglione Fabio,
per tutti “l’avvocato”. Preciso, puntiglioso, arguto polemista spesso al
centro di querelle con i più noti burloni del gruppo. Bella gamba in
salita, ma spesso poco lucido nei momenti topici. Ultimamente sembra
preferire la vela alla pedivella;
·
Piero Antonuzzi, il
“toscano”. Personaggio autentico, lucido ma ruspante, originario in
realtà del viterbese, fondista esperto e compagno di tante avventure in
giro per l’Italia;
·
Stefano Spagnolo, al
secolo Vandenbroucke (VDB), troppo forte per essere amato da tutti in
gruppo e protagonista involontario di alcune mitiche litigate
domenicali;
·
Darione Capobasso, la
locomotiva umana, dai limiti inesplorati e vero traino di alcune
cronometro a squadre nelle quali il Team 2001 ha dettato la sua dura
legge;
·
Claude Binchet (il “francesino”).
E’ durato poco da noi, ingegnere giramondo della Caterpillar. Ma era
portatore di un’autentica passione per il ciclismo sia sportivo che
turistico. Piccolo, leggero, volava in salita, ma mi sverniciava sovente
anche su terreni a me ben più congeniali.
Ovviamente potrei parlare di tanti altri, di Flavio Bruni e Vladimiro
Tinaburri, le odierne “buone ruote” del Team, di Paolo Benedetti, Angelo
Giglio, Stefano Nulli, gli immarciscibili, ossia quelli che ancora sono
soliti presentarsi la domenica. Oppure di Nando Colozzi, Tonino Menghini,
Claudio Fiorani, ossia quelli che da un po’ non si fanno vedere.
Ma mi fermo qui perché farei torto a tanti.
Pensando ai tempi andati il mio ricordo va certamente all’osteria di
Palombi, collocata sulla Trionfale, in particolare sulla massicciata del
sedime ferroviario della ferrovia Viterbo-Roma. A 200 metri da Palombi,
fino alla metà degli anni 2000, veniva lanciata la volata tra
scorrettezze, urla, improperi, scie irregolari di auto e moto, rischi
incalcolabili…Insomma, una meraviglia, ciclismo vero a diretta
imitazione del mondo professionistico. Poi, tutti da Palombi. La sorella
del gestore portava di default una fiamminga di bruschette. Qualcuno
ordinava della Coca-cola, ma i più convergevano su vino e gazzosa. E a
quel punto partiva un serratissimo esame critico della tappa. In qualche
caso Palombi proponeva sornionamente altri “piatti speciali”:
broccoletti ripassati, carciofi alla romana, tocchi di pecorino, ecc. Ma
parlando di cibo il ricordo non può non andare alle impressionanti
ciotolone di carbonara che il Presidente pretendeva prima di lanciarsi
in argute analisi tecniche sulla giornata trascorsa.
Era un mondo bello e vero. E lo era a tal punto che un amico residente a
Parigi e fotografo presso la famosa agenzia Magnum, mi propose di girare
un documentario sul gruppo dei ciclisti romani del Baronbar. Per vari
motivi non se ne fece nulla e rimane un certo rammarico, soprattutto ora
che l’osteria di Palombi non c’è più.
Oggi, anche se meno che in passato, l’appuntamento domenicale di Piazza
Irnerio è ancora molto frequentato e rimane un riferimento importante
per tutti i ciclisti del quadrante ovest della città. L’età media è un
po’ più elevata rispetto a quella dei tempi d’oro. Certamente i giovani
hanno difficoltà ad aderire ad uno sport che diventa sempre più
rischioso per l’inciviltà, l’intolleranza e la distrazione crescente
degli automobilisti. I vecchi, invece, non si rassegnano e tengono il
punto aspettando figli e nipoti. In fondo il ciclismo è sempre stato uno
sport a trasmissione ereditaria.
Marco Baldi
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